Gli italiani vanno sempre di meno dal dentista. È un trend negativo quello che emerge dai dati Istat e che colpisce l’intero quadro del comparto dentale italiano: negli ultimi 12 mesi, il 7,9% degli italiani ha dovuto rinunciare alle cure dentali per motivi economici (prevalentemente le donne). Questa tendenza ha impattato fortemente l’andamento professionale dei centri odontoiatrici privati, che per anni hanno assistito ad un calo dell’affluenza dei pazienti, spesso in favore delle cliniche low cost.
Qualcosa sta cambiando e i trend di Google mettono in evidenza un crescente disinteresse degli internauti verso i cosiddetti “dentisti low cost”. Si potrebbe dunque ipotizzare che i pazienti, pur rivolgendosi con minore frequenza alla figura del dentista, preferiscano affidarsi a cliniche e professionisti di alta qualità. Sintomo di una rinnovata consapevolezza circa la professione e l’etica dell’odontoiatra?
Parebbe di sì, come stanno constatando i nostri dottori.
«Il progetto di un’odontoiatria low cost è incompatibile con la deontologia professionale del medico – premette il Dottor Luca Petrini, odontoiatra e direttore responsabile del poliambulatorio andezenese – nella medicina, il basso costo non è ammissibile. Esistono unicamente gli interessi dei pazienti, che devono primeggiare su quelli della struttura. È noto che le tariffe economiche risultino allettanti ma gli studi medici, siano essi monoprofessionali, associati oppure veri e propri centri, non sono supermercati. Mirano ad individualizzare le prestazioni, garantendo al paziente un ritorno sanitario il più possibile elevato rispetto alla sua richiesta».
Quali sono gli aspetti che caratterizzano le cliniche odontoiatriche low cost?
Lo spiega Mauro Della Casa, odontotecnico e fondatore del Centro Medico Odontoiatrico Delma: «Innanzitutto si avvalgono di odontoiatri sottopagati, molto spesso alle prime armi. Il timing tra un paziente e l’altro è serrato e questo non concede tempo sufficiente per sterilizzare adeguatamente l’ambiente e la strumentistica, né tantomeno dedicare la giusta attenzione alle problematiche del paziente. In molti casi, la qualità dei materiali prescelti non è la migliore. Proporre al pubblico tariffe eccessivamente basse implica tagli economici su servizi che, per un poliambulatorio di qualità, sono indispensabili».
«Personalmente, nell’arco di un semestre ho seguito circa un paziente al mese che ha dovuto rimediare ai danni causati da note cliniche low cost italiane ed estere – fa un resoconto Petrini – Spesso ci troviamo di fronte a danni notevoli, in particolare di tipo protesico-implantare, e intervenire diventa traumatico nonché dispendioso per il paziente. In particolare, in paesi esteri come la Croazia e la Romania, utilizzano fixture implantari differenti da quelle riconosciute valide in Italia».
Un vero e proprio turismo dentale low cost, che sta diventando però fuori moda.
«Quando un paziente si reca all’estero per una riabilitazione di tipo protesico-implantare oppure odontoiatrica in generale, lo fa per motivi economici, senza tenere conto di alcuni fattori – analizza Della Casa – In primis, tra un intervento e l’altro i tessuti biologici necessitano tempo per rigenerarsi, e scegliere una struttura fuori dall’Italia costringe i professionisti a sveltire le procedure a discapito della salute della bocca».
Secondo i dati Andi, l’Associazione nazionale dei dentisti italiani, La stragrande maggioranza degli italiani (circa il 90% circa) sceglie un dentista privato, il 5% una struttura odontoiatrica, il 4% si rivolge al Sistema Sanitario Nazionale e la restante fascia di popolazione si affida ai viaggi della speranza nei paesi dell’Est Europa. Sono numeri che lasciano intendere una maggiore consapevolezza circa l’importanza della salute dentale: «Infatti, più il soggiorno estero si prolunga, più il paziente paga. In secondo luogo, optare per una struttura extranazionale scoraggia il paziente a rispettare il richiamo, che va effettuato dopo 6 mesi/1 anno dall’intervento» conclude Petrini.